di Sergio Bevilacqua
Passeggiare per il lungomare di Viareggio è un rito che coloro che anche ai giorni nostri vengono a passare l’estate in villeggiatura in tutta la Versilia non possono non compiere una sera o l’altra. Due passi in uno dei viali dello shopping più allettanti d’Italia, dopo gli ozi sulla spiaggia e in attesa delle serate nei bei locali, magari alla Capannina, li fa anche chi va a Forte dei Marmi, la più recente destinazione del turismo marino di classe di tutta la costa dei capoluoghi di provincia Lucca e Massa/Carrara, che si dividono l’orgoglio di questo litorale. E come mai? Perché la suggestione è fortissima, e non soltanto per chi è in grado di decodificare il suo sentire svelando l’emozione dei segni che i nostri sensi raccolgono su quel lungomare: anche gli altri, che non ne sanno niente, sono lo stesso presi da una fascinazione inconsapevole. Una catarsi.
Pensate che tutto ciò iniziava solo poco più di un secolo fa. Ancora alla fine dell’800 i bagni di mare erano un vezzo per pochi: nel 1866 Fattori dipingeva una rotonda dei Bagni Palmieri a Livorno, poco più in là, ben poco affollata. Mentre i fiorentini sceglievano la prossima destinazione turistica marina dopo il tradizionale mare di Lido di Camaiore, il benessere dilagava ed ecco che l’astuta presenza della famiglia Agnelli presso la Villa Imperiale al Forte (oggi Hotel Augustus, un firmamento di stelle); così, tutti i vip al seguito della maggior famiglia industriale d’Italia, con l’avvocato Giovanni Magister Elegantiarum, cercano lo stesso luogo. Tutta la Versilia ne beneficia. I migliori fiorentini si spostano al Forte, arrivano i milanesi, sull’onda della ricchezza acquisita e poi i contigui emiliani, qualche lustro dopo, in coincidenza con la ricchezza industriale anche per loro. In pineta nascono ville stupende e la via Roma Imperiale diventa un luogo di culto.
E così è gran successo per il Forte (dagli anni ’50 a oggi), e si storceva la bocca se si trattava di qualcosa appena più in là: Vittoria Apuana, il Cinquale o il Lido di Pietrasanta… Va comunque detto che non era solo superficie o materiale benessere: in piazza del fortino, all’ombra del quarto platano, quello del Caffè Roma, sono fioriti cenacoli letterari e artistici. Il Forte non è ancora sviluppato, è ancora prevalentemente una struttura logistica utile al trasporto dei marmi delle vicine cave apuane tra Massa e Carrara, dove a pane e lardo, dai tempi dei romani, cavatori prima poveri deportati dall’Irpinia, poi poveri e basta ma robusti, estraevano il prezioso marmo bianco, per colonne di templi, sculture di tutti i tempi, fino a Michelangelo, Canova, Rodin, Henry Moore e Botero. Ma, nella piazza del Forte, sotto il quarto platano, ci troviamo già Ungaretti, Malaparte, Gadda, De Robertis, Montale, Papini, Pea, Moravia, Pratolini, dagli anni '20 fino ai '60… Quando i quattro platani vengono tagliati, estirpate le radici e fatto largo ad alberelli meno invadenti per la manutenzione del selciato della piazza, con radici meno vigorose, così si lamenta Enrico Pea, (1881-1958) in una invettiva: “Che ci stavano a fare i platani vecchi, sotto cui sonnecchiavano all’ombra i cavalli attaccati e i vetturini a cassetta delle carrozzelle, all’usanza giardiniera, come al tempo di Garibaldi?”, e protesta. Radici meno vigorose… Cari amici, gli alberi come uomini, o civiltà!
Mentre tutto ciò accade, la vera capitale della Versilia, Viareggio, sta avviando un grandioso ‘900. La maggiore bellezza la riceve dal Liberty ovvero dall’Art Decò. I Chini hanno una villetta, come tutti i buoni fiorentini, al Lido di Camaiore, che il bravo Galileo si esercita ad affrescare. Io ci sono stato, ospite di quei lontani parenti che ancora penso la posseggano, le eredi Chini, tra cui Paola, e ho visto… Che suggestione! Galileo non era ancora agli onori della cronaca artistica globale, com’è giustamente da un poʼ (vedi proprio ora le due mostre di Prato sulle sue scenografie di Turandot e lo scambio con il costumista Caramba e il grande Puccini, e Villa Bardini a Firenze). Ma il rispetto era già elevatissimo in quella fine anni '70 del '900. Noi parenti sapevamo tutto: del palazzo reale di Bangkok, della Cina, delle terme Verzieri di Salsomaggiore, delle terme di Montecatini, della sua grandissima qualità pittorica, delle stupende ceramiche. E anche dei suoi interventi di decorazione sul lungomare di Viareggio. Galileo Chini, infatti, alternò l’attività di decoratore a quella di restauratore dirigendo l’impresa dello zio e impiegando le ceramiche smaltate come elemento ornamentale negli interni e negli esterni di palazzi e negozi. Un esempio magistrale è il caffè Margherita a Viareggio (lungomare appunto), ma anche molti altri edifici, posti in Viale Regina Margherita, che nel loro insieme formano la scenografia della Passeggiata di Viareggio.
Suggestioni, dicevo, anche per chi non conosce la storia dell’arte: ma così è l’arte, è catarsi naturale, che avviene non perché si sa ma perché ci tocca: ecco perché l’inizio e la fine della arte cosiddetta contemporary... E il perenne invece dell’arte pucciniana e verdiana e della commedia dell’arte. Di quest’ultima, ci parla il suo paladino nel mondo, un ragazzo di settant’anni di origine calabrese ma vissuto a Reggo Emilia e in 6 continenti su 7 (gli manca l’Antartide…), Antonio Fava, regista delicatamente innovativo della commedia dell’arte appunto: “La commedia dell’arte è una infrastruttura dell’estetica umana: si ride e si piange esageratamente, e dietro le sue maschere si nasconde ognuno di noi, l’umano”. Insostituibile. Ed è indiscutibile, cioè fatto necessario, che una città divenuta da 150 anni una delle capitali mondiali del Carnevale, come Viareggio avesse le sue maschere identitarie, accanto a carri sofisticati tecnologicamente, figli della sua modernità novecentesca e delle abilità artigianali e meccaniche dei cantieri navali ben presenti in porto. Ed ecco nascere Burlamacco e Ondina, maschere viareggine. Sarebbero piaciute anche a Goldoni, che le avrebbe usate nelle sue grandi commedie di sicuro. I puristi invece arricciano il naso, ma non c’è di che, davvero. Il loro inventore, Bonelli, un bravo pittore futurista e grafico, conquista la committenza e la nuova maschera entra nel manifesto della manifestazione viareggina del 1931. È un successo.
Burlamacca, il nome del canale che attraversa Viareggio, trasformato al maschile, è nome azzeccatissimo per la maschera: la “burla” e lo “smacco” sono gag tipiche della commedia dell’arte. In tempo, prima di una morte precoce, Bonelli recupera poi la tradizione della commedia dell’arte con un patchwork di segni: il cappello di Rugantino, il mantello del dottor Balanzone, il costume a scacchi stile Arlecchino (ma coi colori sono dello stemma di Lucca), la gorgiera bianca alla Capitan Fracassa (o Capitan Spaventa) e il bottone bianco del Pierrot francese. Se Burlamacco ci conquista con la sua estroversione, Ondina è proprio la maschera della bagnante anni ’30, come riportato dalle cronache fotografiche e dalla pittura che qui, come in tutta Italia, rimane figurativa e, mentre Cezanne, Renoir, Seurat decollano verso la scomposizione della forma, Picasso astrattizza magistralmente bagnanti diverse, tra cui quelle presentate nel 2017 dall’ottimo Luca Massimo Barbero alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia. Invece, Ondina ci è proprio vicina. È nostra nonna, da giovane… Amichevole, rilassante, non forbita, popolare. Ma bellissima, proprio come Viareggio.
Dopo il covid, sperando bene, l'edizione del Carnevale di Viareggio torna nella sua collocazione naturale da calendario. La programmazione 2022 ritorna a febbraio e marzo: i Corsi Mascherati sono programmati per sabato 12, domenica 20, Giovedì Grasso 24, domenica 27 febbraio, Martedì Grasso 1° marzo e sabato 5 marzo. Burlamacco e Ondina vi aspettano. Non tardate, perché tanti ci stanno pensando…
Sabato 22 gennaio 2022
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