Capannori | Lettera appello di un genitore

Perplessità e preoccupazione per ragazzi

con un presente difficile da affrontare

Ho ricevuto una lettera da un genitore preoccupato per le sorti di questi figli, sempre più alla deriva nell'oceano chiamato scuola

di Patrizia Tassone

Pagina di un libro di testo scolastico
Pagina di un libro di testo scolastico

Oggi ho deciso di pubblicare una lettera pervenutami circa due mesi fa. Chi mi conosce sa bene che io impiego diverso tempo a scrivere articoli perché devo interiorizzare il messaggio che intendo comunicare, nella speranza di poter suscitare una reazione di umana comprensione e condivisione, come se ciò che scrivo facesse da megafono virtuale. Nella lettera che seguita non ho voluto fare alcun tipo di modifica, eccetto per la punteggiatura, perché la mia intenzione è che vi pervenga, care lettrici e cari lettori, lo stesso vortice di emozioni provato dall’autore di questo messaggio. Vi invito ad arrivare fino in fondo.

Lucca, una mattina di fine agosto, il caldo è torrido, ancora non da tregua. Attendo sotto l’ombra di un grande albero difronte a un vecchio edificio in cemento armato, grigio e soprattutto triste, mio figlio sono appena terminati gli esami di riparazione ed escono i primi ragazzi, 15/16 anni, sorridono anche se si legge la preoccupazione nei loro occhi, altri invece scappano più veloce che possono da un posto che li sta stritolando, passi veloci, sguardo a terra, altri ancora cuffiette negli orecchi spavaldi, attraversano il piazzale forse sicuri di non poter essere bocciati, sicuri che aver studiacchiato l’ultima settimana possa bastare perché a loro le cose vanno sempre bene…tanto ci pensano mamma e papà.

 Ascolto involontariamente una conversazione, un ragazzone che trasuda tutta la sua voglia di vuotare il sacco racconta sul muretto ad un compagno stralunato, tanto pesanti sono le parole che sta ascoltando, il racconto del suo ricovero coatto avvenuto in un reparto di psichiatria, delle cinghie con cui lo hanno legato, dei sui pensieri mentre, come una bestia in trappola, cercava il modo di uscire “ad un certo punto ho capito che se continuavo a dimenarmi mi avrebbero stretto ancora di più, ho scelto di arrendermi, ed ora sono fuori.” Parla, parla a ruota libera parla della sua bocciatura, della volontà di tornare a studiare e dello psichiatra che deve dare il suo via libera perché lui possa tornare a scuola. Non posso sapere se questo disagio nasce a causa della scuola, ma mi domando quanto avrà fatto la scuola per questo ragazzo.

 Fa davvero un infinita tristezza vederli questi ragazzi speranzosi crollare sotto il peso della grande bugia che viene raccontata loro. Quale? Che in quel bell’edificio ci siano persone, adulti, in grado di apprezzarli, aiutarli, che sono lì per loro. Una grande enorme menzogna, lì dentro ci sono per lo più, pochi ma buoni ci sono, persone spesso demotivate o motivate da altro, che a tutto pensano tranne che a come aiutare i ragazzi che incontrano. Mi domando a che età si inizia a subire ingiustizie? Purtroppo presto soprattutto nel mondo scolastico. Sempre più spesso i ragazzi si trovano a combattere con insegnanti che riversano le loro “frustrazioni” su di loro. Docenti che in classe si permettono di fare qualsiasi cosa, docenti assenteisti, docenti che collaborano in compresenza e pur parlando la stessa lingua non si capiscono; docenti che si impongono di seguire il protocollo e il programma senza tenere conto sia dell’individualità, che della situazione di classe, docenti che non si prendono le proprie responsabilità quando 80% degli studenti non supera una prova scritta, docenti che non vogliono mettersi in gioco?

Tutti abbiamo dei limiti, ma riconoscerlo non è per tutti. Tanto nessuno può toccarli! Ragazzi che vedono in bilico la propria promozione per degli insegnanti che non sanno giudicare con imparzialità e obiettività. Eppure intervenire sull’operato dei docenti da parte dei ragazzi è praticamente impossibile anche quando è evidente che si assiste ad ingiustizie, ed i ragazzi soccombono a tutto questo. Perché l’imparzialità e l’ empatia sono «materie» che all’università non insegnano, o ce l’hai o non ce l’hai. Già perché il coltello dalla parte del manico è sempre il loro. Si preferisce continuare con un sistema che si ammanta di belle parole, inclusione, cooperazione, metodologie innovative ma che in realtà si fonda sempre sul vecchio sistema di potere e che considera i ragazzi sempre più merce di scambio, cavie da laboratorio per le nuove “vecchie” metodologie che continuano a non tenere in considerazione l’unico reale strumento che dovrebbe e potrebbe aiutare gli insegnanti, ovverosia una relazione sana ed empatica con loro, fondata sul dialogo e la comunicazione.

Mai nessuno tiene presente che quando in classe entra un docente in grado di coinvolgere i ragazzi le cose cambiano per tutti, ragazzi felici, famiglie felici, scuola che funziona. Le famiglie fanno di tutto per spiegare ai ragazzi che crescendo si possono anche confrontare con gli adulti nel momento in cui ritengono opportuno, con la dovuta educazione, ma tutti sappiamo che ciò nella nostra scuola, la Scuola del futuro, non può accadere e che chi ne ha il coraggio deve poi pagarne il prezzo. Promozioni e bocciature a chi non lo merita, punizioni generali che non servono a nulla, ma che messaggio stiamo trasmettendo ai nostri ragazzi? Fidiamoci di più del loro operato, delle loro attitudini, del loro modo di essere, perché loro saranno il futuro! Famiglie e docenti, insieme, dovrebbe essere dei formatori educativi di vita e di cultura, ed essi dovrebbero essere in grado di vederli davvero questi ragazzi ma sono troppo distratti, a pensare ad altro, ai mille progetti, progettini, ai bandi di finanziamento, ai collegi docenti, alle faide interne etc…

Due anni di superiori questi in cui non ho avuto altro che la conferma che la scuola sta andando a pezzi e che chissà forse sarà anche meglio se arriveremo ad un IA che la manda avanti, forse almeno il principio di imparzialità, caposaldo della relazione educativa, verrà rispettato. Esso rappresenta il principio fondamentale che deve guidare la pubblica amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni ed è sancito anche nella Costituzione (articolo 97). Secondo la nostra giurisprudenza il principio di imparzialità tende a sottrarre alla decisione amministrativa ogni carattere di arbitrarietà ed arriva ad affermare che l’atto amministrativo viziato da una delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere (disparità di trattamento o manifesta ingiustizia) è illegittimo e pertanto annullabile.

Pensiamo quanto è importante che i ragazzi vengano valutati con imparzialità. Lo sancisce la nostra amatissima Costituzione. Pensate allora quanto pesa quando questo non avviene e questi ragazzi si sentano sottostimati, non visti, non apprezzati, discriminati. Un processo, quello della valutazione, in cui concorrono troppe variabili, e valutare le conoscenze e le competenze di un giovane non solo è complesso ma anche rischioso. Sì, perché non si tiene conto della variabile psicologica. Talvolta un voto più basso può stimolare una mente competitiva e narcisistica a reagire; talvolta, in una persona fragile e insicura, può innescare un effetto collaterale un effetto di abbattimento e di frustrazione. Gli insegnanti dovrebbero inoltre ricordarsi che non giudicano degli adulti ma bambini e/o adolescenti che sono ancora in una fase di evoluzione psico-affettiva e fisico-cognitiva. Ad essere giudicato è soprattutto un giovane ancora in fieri che dovrebbe essere accompagnato alla maturazione, alla riflessione.

La valutazione è un momento importantissimo nella relazione educativa: è importante per imparare, è importante perché attraverso di essa si comunicano implicitamente dei valori, come quello della giustizia, è importante per capire come si debba e si possa stabilire un rapporto di fiducia fra allievo e insegnante anche di fronte a risultati negativi, è importante perché può rafforzare o indebolire l’autostima, perché può stimolare l’apprendimento o al contrario indurre atteggiamenti di rinuncia e di rifiuto. É nella valutazione che massimamente si coglie l’importanza della componente emotiva ed affettiva dell’apprendimento. Fallire su questo significa fallire su tutto il processo di apprendimento e ancora peggio sulla motivazione ad apprendere. É del tutto inutile e fuorviante poi costruire una scuola senza i voti, quando l’imparzialità non viene garantita. Perché alla fine vuoi o non vuoi un voto viene loro dato, loro si sentono lo stesso valutati da un processo che continua ad ignorarli con o senza un numero.

Si è costruito una scuola e un’università, anch’essa sempre più, che devono la loro sopravvivenza al numero degli studenti e ai finanziamenti che in proporzione ricevono. Allora il mantra degli insegnanti è sempre più quello di accaparrarsi nuove sperimentazioni per attrarre sempre più studenti e però attenzione anche di passarli tutti, almeno in certi percorsi altrimenti si chiude. Non ha fatto bene alla scuola, non ha fatto bene agli allievi, non ha fatto bene alla società, oscurare per tanti anni l’etica della valutazione, semplicemente facendo finta che le insufficienze fossero sufficienze: gli insuccessi devono essere superati, le insufficienze colmate, non occultate o negate. Non sta facendo bene alla cuola trasformarla adesso in un azienda in cui contano più i bilanci economici di quelli umani. Quale bilancio allora di questa scuola, per questi ragazzi?

Tutto come prima, non ci vedono, non ci ascoltano, non ci parlano. Tutto come prima, al di là delle belle parole, dei lustrini, dei discorsoni, tutto come prima. Stiamo attenti che forse la scuola del futuro, sarà bella, tecnologica, all’avanguardia, ma sarà vuota perché non avrà più il materiale Umano necessario, perché questi ragazzi forse non ci vorranno più mettere piede in queste belle aule …ed in fondo lo spero anche. Eccolo! Esce non mi vede, tira dritto, parla con una compagna dell’esame, é andato bene, o male chissà…lo seguo, seguo i suoi passi, li seguo a distanza, vorrei proteggerlo da tutto questo, ma non posso.

Cari lettori, genitori e insegnanti vi ringrazio di essere arrivati fino a questo punto dell’articolo. Come vi ho già spiegato non ho operato modifiche sostanziali o tagli perché altrimenti non sarebbe stato trasmesso il senso di questo messaggio. La domanda che rivolgo a me e a voi è la seguente: vogliamo continuare a restare degli osservatori passivi che, pur manifestando disgusto per questo stato di fatto, non fanno niente per aiutare i propri figli e le nostre figlie a non precipitare nell’abisso che si trova a un passo da loro? Vogliamo essere così ipocriti da pensare che la cosa non riguardi anche noi? Comprendiamo una volta per tutte che non siamo divisi in categorie (genitori, studenti, insegnanti, etc) ma che siamo tutti partecipi e autori e che tutti siamo dalla stessa parte.

Giovedì 24 ottobre 2024